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Il Montefeltro

“ Regione montuosa dell'Italia peninsulare, il cui nome ha oggi soltanto una significazione storica e non risponde a nessuna delle divisioni amministrative in cui è divisa l'Italia; per il che non riesce facile stabilire con precisione i suoi confini, che del resto mutarono nel tempo.”
(Enciclopedia Italiana Treccani)

Questo affascinante territorio, caratterizzato dalla sua storia e dalla sua conformazione ambientale, è distribuito amministrativamente tra la Repubblica di San Marino, l’Emilia Romagna (Provincia di Rimini) e le Marche (Provincia di Pesaro); comprende le parti medio- alte delle valli dei fiumi Marecchia (San Leo, Pennabilli, Novafeltria, Maiolo, Pietrarubbia, Talamello, Sant’Agata Feltria, Casteldelci), Conca (Mercatino Conca, Montecerignone, Montegrimano, Sassofeltrio, Montecopiolo, Carpegna), Foglia (Tavoleto, Montecalvo, Auditore, Macerata Feltria,  Frontino, Sassocorvaro, Lunano, Piandimeleto, Belforte all’Isauro) e Metauro (Borgo Pace , Fermignano, Mercatello sul Metauro, Montecalvo in Foglia, Peglio, Petriano, Sant'Angelo in Vado, Urbania), la Comunità Montana dei monti Catria e Nerone (Acqualagna, Apecchio, Cagli, Cantiano, Frontone, Piobbico), Fossombrone ed Urbino, la sua ideale città-capoluogo.

La particolare morfologia del luogo, costituita da dolci pendii, valli e speroni di roccia che improvvisamente si stagliano tra le colline, ha determinato l’assetto degli insediamenti umani, caratterizzandosi per un elevato numero di fortificazioni e di edifici sacri, testimoni di un passato assai movimentato, che coronano le creste rocciose e le verdi colline feltresche.

Il termine Montefeltro trae origine da Mons Feretrio che alcuni studiosi individuano come derivante da Giove Feretrio, divinità a cui era dedicato un tempio che sorgeva sul masso dell’attuale San Leo; la storia di questo territorio è quella delle contese fra le signorie dei Malatesta e dei Montefeltro, delle incursioni dei Medici e della famiglia dei Della Rovere, fino al dominio diretto del governo della Chiesa.

Un pò di storia

La dinastia dei  Montefeltro nacque da un ramo della famiglia dei conti di Carpegna. Nel 1140 il territorio dei Signori di Carpegna venne suddiviso tra i conti Nolfo, Guido e Antonio. A Nolfo venne assegnata Carpegna, a Guido Pietrarubbia e ad Antonio il castello di Montecopiolo. Da questo momento Antonio assunse il cognome "di Montecopiolo" che mantenne fino al 1150, quando, trovandosi a Roma per aiutare il Barbarossa a sedare la rivolta scoppiata per la sua incoronazione, ottenne dall'imperatore, per l'aiuto prestato, la signoria dell'odierna San Leo che all'epoca si chiamava Mons Feretrio (Montefeltro). Il conte Antonio di Montecopiolo spostò quindi la propria sede a San Leo e dal quel momento divenne di fatto Antonio "da Montefeltro". Il primo personaggio della casata dei Montefeltro, di cui si tramandano le gesta, fu Montefeltrano I (1135-1202); con Antonio II da Montefeltro (1348 –1404) ci fu la conquista di Urbino, Cagli e Gubbio, con  Guidantonio da Montefeltro (1378 – 1443) , venne annessa Castel Durante (Urbania) e nel 1404 egli si fece investire da papa Bonifacio IX signore di Urbino: fu il primo conte a proteggere anche le arti, infatti accolse a corte Ciriaco de' Pizzicolli e Antonio Alberti. Suo figlio Oddantonio, nel  1443, venne elevato al grado di duca di Urbino, titolo trasmissibile agli eredi, da  papa Eugenio IV. Egli regnò per meno di un anno, prima di essere assassinato in una congiura di palazzo che favorì la presa di potere da parte del fratellastro maggiore Federico, rivelatosi uno dei più grandi principi nello scacchiere italiano dell'epoca, celebre tanto come condottiero in battaglia che come colto mecenate delle arti. Alternò le campagne militari a una folgorante carriera di statista, occupandosi anche dell'erezione del Palazzo Ducale e proteggendo alla sua corte artisti famosissimi, da Leon Battista Alberti a Piero della Francesca, da Paolo Uccello a Pedro Berruguete, da Luca della Robbia a Giusto di Gand, oltre ad un nutrito gruppo di architetti e scultori. Confermato duca nel 1474, promosse la costruzione di numerose rocche progettate da Francesco di Giorgio Martini e costituì una delle biblioteche più importanti del Rinascimento. Sposò nel 1459 Battista Sforza e resse con solida autorità il proprio regno fino alla morte, nel 1482. Dopo un periodo di reggenza da parte del conte Ottaviano Ubaldini della Carda, salì al potere il figlio di Federico, Guidobaldo I da Montefeltro, giovane promettente ma malato fin dalla giovinezza, che per tale ragione non riuscì ad eguagliare la carriera militare del padre, pur prendendo parte ad alcune battaglie come condottiero. Sposò Elisabetta Gonzaga e protesse artisti quali Raffaello, Bramantino e Luca Signorelli. Celebre monumento letterario alla sua corte è il Cortegiano di Baldassarre Castiglione. Il suo regno venne turbato dalle lotte contro lo Stato della Chiesa, in particolare le conquiste, mai di lunga durata, subite dai nipoti dei pontefici, quali il Duca Valentino e Lorenzo de' Medici. Guidobaldo morì senza figli, non prima di aver però adottato il primogenito di sua sorella Giovanna e del marito Giovanni Della Rovere, nipote di Sisto IV, prefetto di Roma e signore di Senigallia: Francesco Maria I Della Rovere  divenne il quarto duca di Urbino e così si estinse, nel 1508, la stirpe dei Montefeltro.

Francesco Maria e la moglie Eleonora Gonzaga inaugurarono la linea dinastica dei Della Rovere: essi unirono nel nuovo blasone ducale il loro simbolo, la quercia, all'alloro dei Montefeltro.

Guidobaldo II Della Rovere (1514 –1574), figlio di Eleonora, successe al padre Francesco Maria I della Rovere; sposò in prime nozze Giulia Varano,  figlia dei signori di Camerino; Nel 1547 Giulia morì e un anno dopo si unì in matrimonio a Vittoria Farnese. Predilesse, come residenza, la corte di Pesaro e va ricordato che la città di Urbino gli si ribellò, non potendo sopportare le tasse eccessive da lui imposte: nel 1573 divampò la rivolta, che Guidobaldo soffocò aspramente nel sangue. Morì nel 1574, lasciando quattro figli: Virginia, natagli dalla prima moglie Giulia Varano; Francesco Maria II, Isabella e Lavinia, dalla seconda moglie Vittoria Farnese. Presso la sua corte fu attivo il musicista fiammingo Leonardo Meldert ed il letterato Ludovico Agostini. Nel 1574 prese il potere il figlio Francesco Maria II (1549-1631): questi, già signore di Sora, fu l'ultimo duca di Urbino, signore di Pesaro, Senigallia, Fossombrone e Gubbio. Fu educato rigorosamente e trascorse gli anni tra il 1565 e 1568 alla corte di Spagna; la sua più gloriosa impresa, nel 1571, fu quella di prendere parte alla battaglia di Lepanto, alla testa di 2.000 soldati arruolati nel Ducato di Urbino (ne rimane testimonianza nel soffitto della chiesa pesarese del Nome di Dio, dove il Duca venne ritratto assieme ai sovrani che parteciparono all’impresa). Successe nel ducato alla morte del padre nel 1574. Proprio a causa del risanamento economico attuato da Francesco Maria II, attraverso una saggia gestione ed evitando di gravare i sudditi di tasse, si ricorda come il duca più amato e stimato dal popolo del ducato. Nel 1598 la moglie Lucrezia d'Este morì senza aver lasciato eredi. Sull'opportunità di nuove nozze o, in alternativa, di far tornare il ducato, in assenza di eredi, sotto il dominio papale, il duca interpellò appositamente i suoi sudditi, i quali risposero sollecitando il quarantanovenne sovrano a nuove nozze. Nel 1599 a Casteldurante sposò la cugina Livia della Rovere, più giovane di trentasei anni, per poter dare al ducato un erede che scongiurasse l'estinzione della casata dei Della Rovere e l'annessione nello Stato Pontificio. Il 16 maggio 1605 venne alla luce Federico Ubaldo che, giovanissimo, assunse le redini del ducato e sposò Claudia de' Medici nel 1621, dando a Francesco Maria II una nipotina Vittoria, futura granduchessa di Toscana, ultima esponente diretta dei Della Rovere e unica erede del suo patrimonio. La fine del ducato di Urbino era, però, vicina: improvvisamente Federico Ubaldo morì  (29 giugno 1623), lasciando il ducato nuovamente nelle mani del padre il quale, il 20 dicembre 1624, rassegnato all'estinzione della casata e dietro pressione del papa Urbano VIII, sottoscrisse la devoluzione di tutti i feudi rovereschi al papa stesso, sovrano dello Stato della Chiesa. La devoluzione divenne esecutiva alla sua morte, avvenuta a Casteldurante (23 aprile 1631), dove fu sepolto nella chiesa del Crocifisso.  I beni della casata furono trasferiti a Firenze, in seguito alle nozze di Vittoria della Rovere con Ferdinando II de' Medici, mentre il ricco patrimonio librario fu incamerato dalla Biblioteca Apostolica Vaticana.

Un abile grafico, con maestria, delinea il noto Palazzo Ducale con i suoi caratteristici torricini ed il Duomo di Urbino, trasportando l'ignaro osservatore, dal ricordo alla realtà...

Urbino è città Patrimonio dell'Umanità Unesco: con il suo Palazzo Ducale che ospita, al suo interno, la Galleria Nazionale delle Marche, con i numerosi tesori d'arte custoditi nelle sue chiese e nei conventi, con la casa natale di Raffaello, con i palazzi gentilizi e con le sue caratteristiche viuzze ed i saliscendi...E' una città che sorprende ed affascina!

 

Una ripresa panoramica, a "Volo d'uccello", sulla splendida Urbino, descritta con inquadrature dei luoghi salienti della città: possiamo ammirare il Palazzo Ducale, Porta Santa Lucia, la fortezza Albornoz, la chiesa di san Francesco, la Data, il teatro Sanzio, piazza Rinascimento, piazza della Repubblica...Tutt'attorno l'incanto di un panorama fatto di colli e valloni, come nei dipinti dei grandi maestri del rinascimento che Urbino hanno frequentato, conosciuto e amato.

Una splendida cartolina virtuale!

Un gioiello nel cuore di Urbino che merita sicuramente di essere visitato: l'oratorio di San Giovanni Battista, Sant'Antonio Abate e San Giacomo Apostolo, col suo ciclo di splendidi affreschi realizzati dai fratelli sanseverinati Jacopo e Lorenzo Salimbeni, databile attorno al 1415-1416. 

A pochi chilometri da Urbino, sulla cima di un colle, si trova Castelcavallino.  

L'abitato è costituito da un antico borgo fortificato eretto in posizione strategica, infatti, permette di vedere la sottostante vallata del fiume Foglia, tutte le colline circostanti e la strada che porta ad Urbino. E' caratterizzato da una torre campanaria molto massiccia, perché eretta per scopi militari: come fortificazione e punto per la vedetta. Degna di nota, poco distante, è l'antica pieve romanica dedicata a san Cassiano, con pianta basilicale a tre navate, in pietra tufacea; presenta delle tracce di affreschi, in particolare nella zona absidale.  

Qui Giovanni Pascoli scrisse la poesia l'Aquilone.  

« O bel clivo fiorito Cavallino
ch’io varcai co’ leggiadri eguali a schiera
al mio bel tempo; chi sa dir se l’era
d’olmo la tua parlante ombra o di pino?

Era busso ricciuto o biancospino,
da cui dorata trasparìa la sera?
C’è un campanile tra una selva nera,
che canta, bianco, l’inno mattutino?

Non so: ché quando a te s’appressa il vano
desìo, per entro il cielo fuggitivo
te vedo incerta visïon fluire.

So ch’or sembri il paese allor lontano
lontano, che dal tuo fiorito clivo
io rimirai nel limpido avvenire. »

(Giovanni Pascoli, Cavallino, Myricae, 1891)

 

Il Barco Ducale si trova appena fuori Urbania, in direzione Sant’Angelo in Vado; venne costruito nel 1465 per volere di Federico da Montefeltro e divenne uno dei luoghi preferiti del duca  Francesco Maria II Della Rovere.

Era un parco venatorio, luogo di svago del Duca e della sua corte: collegato al Palazzo Ducale dal fiume Metauro, che cavalieri e dame risalivano in barca, questa sede di caccia fu sempre cara sia ai Montefeltro che ai Della Rovere.

Originariamente il Barco era composto da un quadrilatero che si affacciava su di un cortile, attribuito a Francesco di Giorgio Martini che vi aveva progettato anche un mausoleo ducale (oggi ridotto a sacrestia: infatti la costruzione non accolse mai le spoglie di Federico). In esso trovò sistemazione anche un piccolo convento trecentesco di frati francescani minori, detti Zoccolanti. Nel sec. XVI, con i Della Rovere, sotto la direzione di Girolamo Genga, il Barco subì sostanziali interventi di ristrutturazione e di ampliamento, che comprendevano anche due torri di guardia. Nel 1625, Francesco Maria II, ultimo duca di Urbino, donava ai frati minori l’intero edificio, così che potessero ampliarvi il loro convento. Nel 1719 una parte del convento crollò, si decise così di edificare, all’interno del Barco, un nuovo edificio in stile vanvitelliano, la cui chiesa, dedicata a San Giovanni Battista, venne consacrata nel 1771.  Nella seconda metà del secolo XVIII il Barco assunse l'aspetto attuale: le due torri quadrate fatte costruire da Francesco Maria II, furono una abbattuta e l'altra utilizzata come campanile.

Il Barco è oggi sede delle attività e dei laboratori di ceramica e di artigianato artistico del Museo Civico, tenuti in collaborazione con l’Associazione Amici della Ceramica. 

Il Torrione di Cagli è stato costruito nel 1481: esso è tutto ciò che rimane dell'antica fortezza  progettata dall'architetto senese Francesco Di Giorgio Martini.   

L'imponente fortezza faceva parte di un piano di difesa voluto dal Duca Federico da Montefeltro; venne concepita come un sistema difensivo dai caratteri innovativi, contrassegnato da due poli: la rocca vera e propria, che dominava la città dall'alto del colle dei Cappuccini, e un torrione sottostante, collegati tra loro da un lungo cunicolo sotterraneo.  

Il Torrione era costruito a cavallo della cinta muraria medievale della città: alla fine dell'Ottocento le mura urbiche furono abbattute, ma, fortunatamente, esso è giunto fino a noi in ottime condizioni conservative, mentre della Rocca rimangono solo i ruderi, conservati nello spazio adiacente il convento e la chiesa dei Cappuccini, ed i disegni originari dell’opera. La Rocca venne, infatti, in parte smantellata dagli stessi cittadini Cagliesi che, istigati dal duca Guidobaldo, vollero in questo modo evitare che finisse in mano alle truppe che occuparono la città (20 giugno 1502), sotto il comando del Duca Cesare Borgia.

Il Torrione ha forma ellissoidale e si presenta con paramenti in pietra e mattoni; il fossato che lo cingeva, con il muro di contenimento ancora perfettamente intonacato, venne fatto scaricare di tutta l'acqua nel 1757, al fine di evitare l'allagamento delle strade adiacenti. Nella recente riapertura parziale, è stata trovata la base di appoggio del ponte levatoio. Un passaggio sotterraneo, il così detto "soccorso coverto", costituito da 367 gradini, collega ancora il Torrione con la Rocca.

Con l'ultimo restauro, il torrione, visitabile, è stato adibito a sede museale e dal 1997 ospita il Centro di Scultura Contemporanea, nato sotto la direzione artistica del critico d'arte Fabrizio d'Amico, con sculture di Pietro Coletta, Eliseo Mattiacci, Nunzio di Stefano, Marco Gastini, Paolo Icaro, Hidetoshi Nagasawa.

E’ ritenuto tra le più belle fortificazioni militari del Martini. 

Fermignano, città di origine romana (secondo la leggenda fu fondata nel 200 a.C. da Firmidio, comandante legionario romano e la città venne appunto chiamata Firmidianus), posta sulla sponda sinistra del Metauro, ha un piccolo ma significativo centro storico, caratterizzato dall'alta torre medievale, detta delle Milizie, il bellissimo ponte in pietra, a tre arcate, che attraversa il Metauro in una suggestiva cascata, la chiesa di santa Veneranda e l’oratorio di San Giacomo in Compostela. Famosa fu la cartiera voluta dai Montefeltro, che sorgeva accanto al fiume: era una delle più importanti dello Stato Pontificio, dopo Fabriano; è rimasta in funzione fino al 1895, venne poi sostituita da un lanificio e da fabbriche di pasta.

Da ricordare che nel 207 a.C. venne qui combattuta (nella vicina piana di San Silvestro) la battaglia del Metauro, nella quale le legioni romane annientarono l'esercito cartaginese guidato da Asdrubale.

Illustre cittadino fu Donato di Angelo di Pascuccio, detto Bramante, grande architetto rinascimentale formatosi alla corte di Urbino: in località Ca Melle la casa dove nacque nel 1444.

Ogni anno, la prima domenica dopo Pasqua, si può assistere allo storico torneo del Palio della Rana e, sempre in costume, a fine estate, al Gran Premio del Biciclo Ottocentesco.

Castello della Pieve, sito a metà strada tra Mercatello sul Metauro e Borgo Pace, è un caratteristico borgo medioevale, quasi abbandonato (la maggior parte degli abitanti si è trasferita a Mercatello).  Il paese è caratterizzato da una chiesetta con campanile, una torre e case in pietra scura; è attraversato da una stradina di sassi che conduce fino all'arcata: quest'ultima chiude il borgo, unendo due case. Era un luogo abitato soprattutto da boscaioli e falegnami, infatti, sopra le porte di alcune abitazioni, sono ancora presenti ornamenti in legno intagliato.

Castello della Pieve era una delle fortificazioni della piccola Provincia di Massa Trabaria: quest'ultima era così chiamata per via dei tanti abeti di cui era ricoperta, ma che, una volta abbattuti e lavorati, finivano a Roma, "navigando" sul Tevere, per fornire le travi necessarie alla costruzione di palazzi e chiese.